Litigi tra fratelli: come trasformare i conflitti in dialogo e comprensione

Pubblicato il 6 marzo 2025 alle ore 12:43

L’altro giorno, mentre piegavo i vestiti caldi appena usciti dall’asciugatrice in camera ascoltando musica, i miei figli stavano giocando tranquillamente a calcio balilla (o almeno così credevo) giù in salotto.

Poi, all’improvviso, un urlo. E la pallina che sbatte forte nel pavimento.

Un attimo prima, tutto sembrava sereno. Un attimo dopo, l’eco della voce arrabbiata di uno dei due mi ha fatto scattare. D’istinto ho lasciato i vestiti e mi sono diretta verso le scale.

La reazione abituale?

Scendere in velocità, prendere chi ha urlato, rimproverarlo e poi… il solito copione: un’escalation di rabbia, risposte stizzite, accuse reciproche. Una dinamica che, più che risolvere, alza solo la tensione.

Ma questa volta, mentre poggiavo il piede sul primo scalino, ho visualizzato nella mia mente quello che sarebbe successo se fossi andata giù con il carico di rabbia che avevo dentro.

Mi sono fermata.

Ho chiuso gli occhi un secondo, ho preso un respiro profondo e ho deciso di fare diversamente.

L’ascolto prima della reazione

Ho lasciato passare qualche minuto. Ho permesso che la tensione si abbassasse, sia dentro di me che tra loro. Poi, senza l’energia del rimprovero addosso, sono scesa. Li ho trovati ancora nervosi, ma più calmi e entrambi in divano. Avevano smesso di giocare. Mi sono avvicinata e ho chiesto semplicemente:

“Cosa è successo?”

E lì è cambiato tutto. Invece di puntare il dito o decidere chi avesse torto, ho aperto uno spazio di ascolto.

Hanno iniziato a spiegarsi, accusandosi a vicenda, a volte con le lacrime, a volte alzando la voce.

Io rimanevo in silenzio, cercando di farli sentire per lo meno ascoltati.

Il potere delle parole che scegliamo

Se avessi iniziato con “Basta urlare! Non vi sopporto più!”, cosa sarebbe successo?

Loro si sarebbero chiusi, avrebbero risposto male, urlato ancora di più o semplicemente non avrebbero più parlato.

Invece, ho fatto un esperimento.

Ho provato a riformulare le mie frasi:

🔸 Invece di dire Perché urli sempre?, ho detto Sei arrabbiato...ok! Mi dici cosa ti fa arrabbiare così tanto?
🔸 Invece di Smettila di essere aggressivo con tuo fratello”, ho provato “Ti senti arrabbiato perché pensi che lui non rispetti le regole del gioco?”
🔸 Invece di Se continui così,… [punizione], ho detto “Come possiamo risolvere questa situazione insieme?”

Le parole cambiano tutto.

Se ci sentiamo attaccati, rispondiamo con difesa. Se ci sentiamo compresi, siamo più aperti al dialogo.

Comunicare non significa solo parlare

Dopo averli ascoltati, può essere utile aiutarli a dare un nome alle loro emozioni. E questo vale a qualsiasi età, non solo da piccoli.

“Mi sono arrabbiato perché sentivo che non rispettava la mia regola nel gioco.”
“E io mi sono innervosito perché mi ha interrotto mentre giocavo bene.”

Entrambi avevano ragione nel loro punto di vista. Entrambi si erano sentiti “attaccati”. Ma invece di imporre una soluzione, ho chiesto: “Secondo voi, come potete fare la prossima volta per non litigare così?”

Vi dirò… in quel momento, quando ho proposto di trovare una soluzione, entrambi sono rimasti fermi sulle loro posizioni. Non erano pronti a cercare alternative. Lì per lì, si sono seduti sul divano a guardare la tv senza parlare.

Ma so che dentro di loro qualcosa si è innescato.

Per lo meno sono riuscita a sbloccare la situazione tanto che uno dei due ha accettato di fare una partita con me.
Infatti, piano piano, poi sono tornati a giocare assieme.

Quello che voglio dire è che magari queste frasi non modificheranno, almeno non subito, le emozioni che stanno provando. Ci mancherebbe. Però distendono gli animi e aiutano a ritrovare la calma.

Essere un modello di comunicazione

Se voglio che loro imparino a gestire i conflitti senza urla, devo essere io la prima a mostrare come si fa.

Questo non significa che non mi arrabbierò mai, anzi, purtroppo soprattutto quando siamo carichi da una giornata piena è normale sbottare o esagerare
Ma vedo che quando mi capita o capita anche ad altri, diventa solo un modo per innescare una mega bomba, che invece andrebbe disinnescata.

Io col tempo sto cambiando e non dico di diventare “la mamma zen perfetta” (spoiler: non esiste!). Ma significa che possiamo SCEGLIERE il nostro modo di reagire. Posso insegnare loro che la comunicazione non è solo parole, ma anche il modo in cui gestiamo le nostre emozioni.

E, soprattutto, che ascoltare è più potente che rimproverare.

Conclusione: piccoli passi, grandi cambiamenti

Questa esperienza mi ha insegnato che la comunicazione con i figli non si costruisce in un giorno, ma è un processo fatto di piccoli momenti quotidiani.

Ogni giorno abbiamo l’opportunità di fare un respiro in più, scegliere parole migliori e ascoltare davvero. E ogni volta che lo facciamo, stiamo costruendo con loro un rapporto più forte, basato sul rispetto e sulla fiducia.

 

 

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